Poco dopo la maternità, Alessandra scopre una patologia invalidante. Innanzi ad un evento lacerante che sembra sgretolare le fondamenta sulle quali aveva edificato i suoi progetti, l'autrice è costretta a ripensarsi e a rinegoziare i termini della propria esistenza. Lo fa sul filo di una coraggiosa auto-etnografia che la induce a problematizzare l'approccio biomedico e a tematizzare le dimensioni emergenti di quell'esperienza: la fragilità identitaria; il corpo anatomico e il corpo vissuto; la costruzione dello stigma e le rappresentazioni sociali della persona con disabilità cui tenta di sottrarsi svelandone la natura artificiale. Parallelamente, riflettendo in maniera critica sui rapporti significativi e su quelle dinamiche che, con le loro ambivalenze, avevano marcatamente segnato la sua crescita, ella riscopre le proprie appartenenze e individua alcuni nodi cruciali che avevano impedito la sua piena emancipazione di donna rendendo possibile prospettare il futuro sulla scorta di nuovi scenari di senso.