Noi non sappiamo se Levi scrisse questo romanzo spinto dal bisogno "politico" di far conoscere al resto del mondo una realtà nascosta e marginale oppure se lo scrisse sull'onda di un rapimento psichico, da medium. Levi era uomo di scienza e di ragione, ma ha sempre avuto qualcosa, nello sguardo e nell'atteggiamento, di mitopietico, di mitologico, di olimpico, com'è stato più volte detto. Per quanto egli stia con precisione e lucidità nel qui storico, nelle concrete pieghe del reale, in lui emerge sempre questo sguardo "superiore", tra il lirico e il mitologico, di chi osserva le cose da una sorta di altura sacra ... (E lo sguardo di Isabella Staino) porta il Cristo altrove, lo rende universale, disarcionandolo dall'iconografia tradizionale del realismo meridionalistico. È come se Isabella Staino ricollegasse quest'opera all'immaginario universale della favolistica popolare - ho pensato a Chagall -, in tal modo dimostrando un aspetto fondamentale, e cioè che l'opera di Levi non è regionalistica, ma universale, perché tutte le civiltà contadine del mondo hanno questa stessa complessità e stratificazione morale e spirituale. (Andrea Di Consoli)