Friedrich Hölderlin - il poeta dei fiumi, dei fiori e degli alberi - esprime apertamente la sua sfiducia non solo verso la società in generale, ma anche verso il linguaggio: infatti gli uomini credono di conoscere le cose perché le designano con nomi convenzionali, opinabili. Per il poeta esiste, invece, un linguaggio più profondo e appassionato, quello della natura stessa. In Quando ero ragazzo assicura: «Io capivo il silenzio dell'etere / non ho mai capito le parole degli uomini.» Si vivono momenti magici, quando tra le fronde stormenti degli alberi scende la luce dell'Etere, percepito come un nume misterioso: in quei momenti di forte intensità e dolcezza si sente alitare l'anima dell'universo e svanisce la distanza tra l'uomo e il divino. Già dal tempo degli studi teologici Hölderlin una cosa rifiutava decisamente: diventare pastore di una ristretta parrocchia di fedeli. Si considerava, ed era, qualcosa di molto diverso: sacerdote della divinità della natura.