Descrizione
"Opera prima di Giorgio Zambon. Silloge in cui l'autore mette in luce [...] Lacerazioni e lotte interne che, tuttavia, si ricompongono attorno ad alcuni nuclei semantici e lessicali forti, i quali tramano l'intera raccolta: uno tra i tanti (ma, forse, uno dei più significativi), il camminare - l'andare e l'essere, attraverso il proprio passo, nel mondo -. Esso si impone già all'apertura del libro e ritorna, più o meno esposto, fino all'Ode conclusiva, dove il passo si scontra con il nulla ('o tre camminai come nessuno senza riposo e meta, / oltre, sull'etere zolle, ma poi alla fine, nulla trovai'), al quale il continuo incedere nel mito resiste, e, infine, risolve il niente nel canto ('condannasti la mia mano a cantare quel che mai trovai'); riaffermando, in fin dei conti, che 'la più alta aspirazione del poeta è esistere. Non vuole altro paradiso che il vivere'." ( Dalla postfazione di Mattia Ferrari)