L'opera introduce nel dibattito italiano una prospettiva critica emergente in ambito internazionale - la criminologia digitale - che mette in discussione la presunta neutralità delle tecnologie data-driven impiegate in chiave predittiva nel sistema di giustizia penale e nelle pratiche di polizia. Muovendo dai limiti del concetto di cybercrime e dalla natura tecnosociale della società digitale, il testo esplora l'uso massivo della datificazione nei meccanismi di controllo, mostrando come big data e algoritmi, operando come black boxes, finiscano per plasmare quella stessa realtà che invece pretendono semplicemente di descrivere. Attraverso l'esame dei principali studi statunitensi ed europei su giustizia algoritmica e polizia predittiva, il testo mette in luce le implicazioni epistemologiche, etiche e socio-politiche di tali dispositivi: dalla riproduzione dei processi di razzializzazione alla violazione della privacy, fino al ruolo crescente del settore privato e alle conseguenze sociali che tutto questo comporta. Una riflessione che invita a considerare non solo la sicurezza dei dati continuamente raccolti, ma anche la sicurezza dai dati stessi e dal loro utilizzo.